ESCLUSIVO - I MOTIVI DELLA ROTTURA TRA IL PALERMO E DI PIAZZA
E' spesso questione di gerarchie. Nelle unioni e nelle rotture. E in quello che ci sta in mezzo.
Così è nelle famiglie: la mamma, il papà, i figli. Ognuno con il proprio ruolo.
Così è, per dare esempio calzante di ciò che stiamo trattando in questo articolo, nelle orchestre: c'è il maestro, con la sua bacchetta, che dirige; e ci sono i musicisti, che insieme guidano il proprio strumento e sono guidati dal maestro d'orchestra, seguendo uno spartito, un tempo, una sinergia. Senza i musicisti non ci sarebbe maestro, senza maestro non ci sarebbe orchestra. E tutto si muove, scandito da un equilibrio che dà a quel preciso sistema la possibilità di funzionare.
Accanto alla parola “gerarchia” c'è spesso “competenza”: ecco, quando ogni componente di un meccanismo complesso agisce secondo le proprie competenze, il margine di errore si rimpicciolisce.
La premessa è ad un tempo noiosa e indispensabile per dare un senso alla rottura improvvisa tra il Palermo e Tony Di Piazza. L'ormai ex presidente, nel corso del CdA di ieri, ha rassegnato le proprie dimissioni.
E poi, in serata, ha affidato a Facebook le proprie ragioni: “Una serie di componenti hanno impedito che io potessi esercitare il mio ruolo in modo pieno e fattivo”, ha scritto Di Piazza. Lasciando intendere che qualcuno, nella SSD Palermo, lo abbia scavalcato, compresso, messo di lato. Insomma che un altro componente del sistema complesso rosanero lo abbia privato del suo legittimo ruolo. Affronto inaccettabile, tanto da prendere la decisione di “valutare possibili interlocutori interessati a rilevare seriamente e consapevolmente” la sua partecipazione, ovvero le sue quote societarie.
Di Piazza è entrato nel progetto Palermo come socio di minoranza. Ha partecipato all'investimento del luglio scorso con il 40% delle azioni: 6 milioni di euro su un capitale sociale, che è un debito verso la società, di 15 milioni.
E qui, oltre ogni considerazione, sta il primo fatto: Tony Di Piazza è socio di minoranza. Traduciamo in termini pratici: le decisioni finali, pur raggiunte dopo diversi e articolati dialoghi, spettano a chi detiene la maggioranza del “pacchetto azionario” (chi ha visto la serie tv Boris ora avrò un sussulto).
E tornando al concetto semplice di “gerarchia”: nelle aziende, ancor più che nelle famiglie e nelle orchestre, è fattore indispensabile, necessario affinché l'obiettivo sia raggiungibile.
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Allora viene da sé che se al momento dei patti chiari, quelli dell' “amicizia lunga”, si stabiliscono ruoli, competenze e dunque gerarchie, e quelle vanno rispettate. Se non altro, perché l'obiettivo comune, unico, primo, è il bene del Palermo che rinasce. E non c'è protagonismo o smania di popolarità che tenga.
Allora, per essere chiari, se per via delle proprie competenze la gestione della società calcistica viene affidata a Rinaldo Sagramola, è Rinaldo Sagramola che decide. E no, non ha alcuna valenza chi abbia sganciato i dindini: se vuoi che quei denari siano stati spesi bene, ti devi affidare a chi ha gli strumenti, le capacità e le competenze perché l'azienda su cui hai investito raggiunga gli obiettivi prefissati.
Le commistioni, invece, rischiano sovente di tradursi in ostacoli: avete presente l'immagine del ciclista che mentre pedala si mette il bastone tra le ruote? Di questo stiamo parlando. Ora, se sei da solo, se da te non dipende nessun altro, fai come ti pare. In questo caso, potremmo dire chissenefrega se Di Piazza ha disatteso una precisa indicazione, ratificata nero su bianco, sull'uso indiscriminato dei social come strumento di comunicazione ufficiale; potremmo dire chissenefrega se Di Piazza, dopo il pareggio di San Tommaso, su Facebook ha lasciato intendere che Pergolizzi sarebbe stato esonerato a breve, senza parlarne prima con chi ha unicamente le delega sulle decisioni che riguardano la gestione sportiva della società; potremmo dire chissenefrega se Di Piazza ha proposto di ritirare il premio promozione ai calciatori che hanno portato il Palermo in Serie C; potremmo dire chissenefrega se Di Piazza ha chiamato il presidente Sibilia per avanzare pretese in ragione del milione di euro versato per l'iscrizione in Serie D.
Ma se, invece, con le tue azioni puoi provocare danno a chi collabora con te al fine di raggiungere l'obiettivo comune, ecco che si palesa l'errore. “La mia passione per il calcio ed in particolare l'ambizione per un grande Palermo non può convivere con una mentalità imprenditoriale completamente diversa da quella che mi ha accompagnato nel mio percorso professionale negli Stati Uniti”. L'ha scritto Di Piazza, e di questo stiamo parlando. Non è chiaro quale sia la mentalità imprenditoriale che lo ha accompagnato negli States. E' evidente, invece, che qui, quando l'obiettivo vuol essere raggiunto, si distribuiscono i ruoli secondo le competenze.
Ora Tony Di Piazza ha deciso di ritirarsi. Però ha preso un impegno con il Palermo e, soprattutto, con la città di Palermo. Ha finora versato il 25% dei 6 milioni con i quali si è impegnato, quasi un anno fa, alla rinascita dei colori rosanero. L'auspicio è che non ci siano colpi di coda, che la parola data venga rispettata fino all'ultimo centesimo. Perché ci sarà tempo e spazio per trovare acquirenti che rilevino le sue quote, ma è oggi, è subito, che il Palermo rinato ha bisogno di chi si è impegnato con un'intera piazza.
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