Supersantos Mirri

Supersantos Mirri

 

Appunti sparsi.
Ho ascoltato Dario Mirri e l’ho osservato. 
Mi è sembrato di tornare alla fine degli anni '90, quando avevo meno di dieci anni e mi si concedeva per la prima volta di scendere in strada per prendere a calci un pallone insieme con gli amici. 
I capitani, quelli che sceglievano a turno i giocatori per formare le mini squadre, erano di solito i due più forti della combriccola. 
Fatte le formazioni ed assegnati i ruoli - non si sa bene con quale criterio - ecco il pallone: un sacro e santo, magnifico, arancionissimo Supersantos al quale era stata scientificamente sottratta un po’ d’aria.

 

Era calcio da bambini. Senza pretese, se non quella di non far finire il pallone in mezzo al traffico, ché poi sentile le mamme dai balconi.
Era calcio che non era proprio calcio, però sognante. 
Ci si credeva, tra marmitte antipatiche e ginocchia sbucciate, calci e spintoni, improperi e “Ronaldo, Ronaldo, Ronaaaldooo!”. 

 

Ci si credeva, correndo forte, fortissimo. Con gli stessi occhi di bambini che ho visto sotto la fronte di Dario Mirri che non è un miliardario ma ha miliardi di idee, buone intenzioni, volontà vere, emozioni.

Ha miliardi di motivi perché il neonato Palermo cresca sano e in forze.
E se non basta si vedrà. Si troveranno nuove soluzioni, nuovi soci, nuovi proprietari. 
Ma una certezza c'è: un tifoso com'è tifoso Mirri, palermitano, non lascerà mai che il Palermo, bene comune, faccia la fine che gli imprenditori miliardiari gli hanno fatto fare.