Di Piazza: «Sogno un Palermo come l'Atalanta»

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«Guadagnare un po’ di soldi, farsi notare» suonando nei locali con il suo gruppo per poi arrivare all'impero editoriale di oggi. Un vero e proprio tuffo nel passato quello fatto da Tony Di Piazza in una lunga intervista rilasciata al Corriere dello Sport, dove il vice-presidente ripercorre le tappe della sua scalata verso il successo negli Stati Uniti. Nato a San Giuseppe Jato, Di Piazza raggiunge il padre prima in Svizzera e po negli States nel '66. Prima le suonate con i "Nuovi Amici" nei matrimoni o per eventi di italiani famosi, poi sette attivitià diverse per più di 18 ore di lavoro al giorno, nel 1980 il primo acquisto immobiliare e da lì la nascita di un'azienda con un fatturato da milioni di dollari. Non solo passato però nelle parole del vice-presidente del Palermo ma anche presente, con l'emergenza Coronavirus che imperversa in tutto il globo, e futuro della società rosanero dopo l'acquisto del club insieme a Dario Mirri

 

 

«Come viviamo il calcio in famiglia? Nessun derby tra di noi, mia moglie è nata in provincia di Bari e non è mai stata una tifosa. Ora, però, quando torno dal club dove seguo le partite del Palermo, mi chiede: "Che avete fatto?" Anche mio figlio Frank vive la rinascita del Palermo. Il difetto delle nuove generazioni è che si sono “americanizzate". Frank, invece, si lascia coinvolgere in ogni mia iniziativa. Amichevole con i Cosmos in America dopo la promozione? Purtroppo è saltato tutto a causa del virus. Quest’anno, ugualmente, sono arrivate grandi soddisfazioni. Ho preso il Palermo (40% delle azioni, ndc) perché sono un appassionato di calcio e dei colori rosanero. Ma, la ragione principale è dare il segnale che l’emigrante non è più quello che partiva con la valigia di cartone. Un manifesto di riscatto sociale».

 

COME L'ATALANTA

«Il mio sogno, col Palermo, è arrivare in serie A. Alle nostre spalle spingono migliaia di tifosi. Certo mi sembrerebbe presuntuoso affermare che saremo la Juventus della Sicilia. Da imprenditore, vedo un Palermo come l’Atalanta, che ammiro. Modello da copiare, la dimostrazione che con una programmazione seria, mirata, competente e con l’allenatore giusto, si riescono a fare grandi cose. Le donazioni fatte in questi giorni? La pandemia ha creato allarme nel mondo e nuove situazioni di vita, disagi, condizioni di povertà. La raccolta è stata destinata all’assistenza dei più bisognosi, dei senza tetto, di quelli che hanno perso il lavoro e magari non possono mettere cibo sul tavolo».

 

AFFARI NEL CALCIO

«Siamo al primo gradino, cioè tornare fra i professionisti, sperando che si possa continuare a vincere sul campo e non per la sospensione del campionato. Il calcio può diventare un affare? Se uno parte da questa idea, meglio investire quattrini da uno psichiatra perché solitamente col pallone si perde e non ci si guadagna. E cambiare mestiere. Anche se resta la popolarità e la riconoscenza, posto che arrivino i risultati. Abbiamo il vantaggio di essere ripartiti da zero, dunque con bilanci e idee intatti».

 

CORONAVIRUS

«Siamo tutti ai domiciliari... Mi sposto da casa in ufficio da solo, anche se mio figlio a volte viene a trovarmi. Paura? Francamente, non ne ho. Mi sono sempre curato e sono convinto che, se il tuo corpo è sano e hai un sistema immunitario buono il Coronavirus non ti attacca. La cosa più importante è quella di stare isolati e seguire le norme delle autorità. Hobby? Per gli sport americani non vado matto. Prima collezionavo francobolli, ora non ci perdo più tempo. Non ho un minuto libero tra affari, Palermo e affetti. Insomma, non mi annoio».

 

FUTURO

«Con Mirri, avevamo creato un piano di triennale, con l’obiettivo di portare il Palermo in A. Ho fatto presente che, una volta in C, bisogna ridiscutere per non avere brutte sorprese: un conto la promozione dalla D alla C, un altro dalla C alla B. Una volta in B, si penserà ancora più in grande. Fermo restando che parlare di A mentre attendiamo l’esito di questa stagione, mi sembra prematuro».


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